09 dicembre 2022

La consapevolezza

 

LA CONSAPEVOLEZZA

(Tratto da: Ajahn Sumedho, "Le Quattro Nobili Verità", ed. Santacittarama Edizioni, 2014)



Cona la pratica quotidiana, e nella quotidianità, la consapevolezza, man mano si espande, fino a iglobare tutto. Ciò è frutto nella disciplina e della perseveranza. Abbandonando ogni desiderio e ogni avversione, a partire dalla pratica stessa, ci renderemo conto che le cose sono così come sono e a noi spetta solo prenderne coscienza e agire, se del caso, di conseguenza, non reagendo più agli stimoli interni ed esterni a noi.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.



   Possiamo riflettere su quelle cose che fanno sorgere in noi indignazione e rabbia: c'è davvero qualcosa di sbagliato in queste cose, oppure siamo noi a generare dukkha (sofferenza) attorno ad esse? Allora iniziamo a comprendere i problemi che ci creiamo nella nostra vita e in quella delle persone che ci stanno interno.
   Con consapevolezza, siamo disposti a sopportare tutto quello che fa parte della vita: l'eccitazione e la noia, la speranza e la disperazione, il piacere e il dolore, la fascinazione e la stanchezza, l'inizio e la fine, la nascita e la morte. Siamo disposti ad accogliere tutto nella nostra mente, invece di essere riassorbiti solo dalle cose piacevoli e di sopprimere quelle spiacevoli. Il processo della visione profonda è legato all'andamento di dukkha, all'osservazione di dukkha, all'accettazione di dukkha, al riconoscere dukkha in ogni sua forma. Non reagite più nei modi abituali, indulgendo o sopprimendo. In questo modo potrete sopportare meglio la sofferenza, essere più pazienti con essa.

28 novembre 2022

Dignità sulfurea

 

DAL MOLTEPLICE ALL'UNITÀ

(Tratto da: Raphael, "La triplice via del fuoco", ed. Asram Vidya, 1999)



Basta anche solo un assaggio di Infinito per comprendere che, sedersi in meditazione, non è tempo perso. Ne vale la pena, ne vale davvero la pena. Conosci te stesso per Essere. Dunque siedi, osserva, lascia scorrere, accetta, senza desiderio e senza avversione. Accetta semplicemente.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.



100) Nella frammentazione egoica non c'è Dignità; nel soggiacere all'istinto, all'emozione, alla passione e all'ideazione non c'è Dignità; nel renderci "coscienza di massa" non c'è Dignità; nell'essere deboli non c'è Dignità; nell'esser violenti non c'è Dignità; nell'esser fanatici non c'è Dignità; nella credulità non c'è Dignità; nel disprezzare gli altri non c'è Dignità; nell'odiare non c'è Dignità; nella paura non c'è Dignità; nell'odiare non c'è Dignità; nella paura non c'è Dignità; nell'essere carichi di irrequietezze e di desideri non c'è Dignità. Per vivere con Dignità occorre avere un preciso orientamento interiore. Non sono le parole in se stesse che penetrano e incidono, ma l'effluvio della Dignità interiore e sulfurea. Occorre svegliare in sé una qualità invisibile, ma penetrante, che richiami le Potenze sovrasensibili.

101) La Dignità, al massimo grado, si esprime con lo stato di Essere. Dunque, sii unità, palesati come folgorante "occhio" singolo. Chi è unità è legge a se stesso; è di là dal polarismo sensoriale, di là dall'io non-io.

102) Se per Dignità intendi la tua rispettabilità professionale e sociale, non intendi. La Dignità di cui ti si parla non appartiene all'io accattone. La Dignità impone ascesi, distacco, immobilità, silenzio.
Chi ha Dignità non si protende per acquisire perchè ha in sè la compiutezza e la ragion d'essere.
L'io empirico, fenomenico, sensoriale prega e implora, l'Ente vero fissa lo "sguardo" e proclama.

103) Non v'è Potenza che ti aiuti se sei privo di Dignità. Il debole viene morsicato perchè segue la legge del suo essere-divenire, ma non pensare che ti si inciti alla sopraffazione.
Chi ha paura manca di Dignità. L'Uomo vero che cosa ha da temere? la sofferenza? non c'è sofferenza per colui che conosce la fine fin dall'inizio, la sofferenza non raggiunge il Fuoco incorruttibile. La morte? ci sono parole che non si trovano nel vocabolario dell'Immortale.
La stessa vita? chi opera con Dignità si svela con commensura e non si lascia vivere. Il vivere è di colui che "va e viene", l'Essere vive di Essere.
Si può cadere, ma Dignità impone di rialzarsi con compostezza, in bellezza, senza rumore, senza commiserazione e senza rimpianti.

104) L'ente "addormentato" vive di fantasmi, di allucinazioni che prende per veri; vive di opinioni. L'Ente vero, essendo unità, è lampada a se stesso. L'ente "addormentato", vivendo di passioni, è posseduto dal Drago squamoso: la passione è l'incarnazione di una potenza demonica, titanica. Stimolare una passione in sé significa evocare il demone corrispondente. Ma c'è chi sa evocare con Dignità senza essere posseduto. L'ira, la paura, la violenza e ogni passione aprono al dio dragon della limitazione e della costrizione.
La Dignità impone che si comandi al demone e si cooperi con le Potenze. Quello della maya-divenire è un mondo fatto di leggi, di manipolazioni di forze, di giuochi energetici.

105) Si può essere giuocati, si può giuocare, si può essere al di là di ogni possibile giuoco.
Vera Dignità appartiene a chi sa girare la ruota del divenire pur restando fermo nell'immobilità metafisica.

106) Dignità è stile di essere sul piano del molteplice. Esprimere questo stato non è questione di tecniche, per quanto valide.
La Dignità è frutto di superiore statura, quindi è effetto di Realizzazione. Chi ha conquistato la Dignità può bussare e le porte si aprono.
L'azione buona crea vincolo se v'è attaccamento, l'Ente di Dignità è tutt'uno con la sua direzione, ma non si preoccupa del "secondo".

107) Fino a quando l'individuo vive costretto dalla sua forma-immagine costruita nel tempo, non può avere Dignità metafisica. L'ente deve carpire il senso della Realtà di se stesso e non proiettarsi un'immagine di sé alienata. Se si è Aquila è da folli credersi serpe strisciante.
Se hai Dignità osa e afferma: il Fuoco universale, il Drago verde, il Grande Agente o Sostanza prima, che dir si voglia, si plasmerà conseguentemente.

108) Chi ha Dignità non è nel dubbio, nell'incertezza, nell'ansia di fare o non-fare. Dignità impone che l'ente sia l'incarnazione della certezza. La Conoscenza è strumento per carpire la Dignità, questa non è frutto di fanatismo, di caparbietà, di ostinazione, di superbia, d'ignoranza. V'è un desiderio di fare e una volontà di essere, il primo è frutto dell'io fenomenico che opera nello sforzo, nella tensione e sul piano delle resistenze; l'Essere afferma e proclama con pacatezza, con determinazione, con certezza.
Chi desidera non ha Dignità: l'Ente di Dignità è "semplicità" che tutto ha in sé. Il complesso obbedisce al semplice, il mobile all'immobile, il relativo all'assoluto, il divenire all'Essere.

109) l'Ente di Dignità non teorizza né discute, non divaga, né interpreta né deve convincere: tutto ciò appartiene all'io samsarico e bisognoso di conforto e di consensi. L'Ente di Dignità è immobile, è Sole notturno che brilla allo zenit.
Dignità è Fuoco che sa bruciare e incenerire, oppure accendere, ignificare e plasmare. Con la Dignità, l'ideazione diventa espressione; la parola, realizzazione; il gesto, comando.

110) Qui non ti si dà una teoria o un saggio sulla Dignità, ma l'indicazione di uno stato; con e su questa Dignità costruisci il tuo Tempio.
L'Insegnamento iniziatico non comporta problemi di saggistica, ma precisi compiti e autentiche realizzazioni. Quindi ricorda: la Pietra nostra nasce dalla soluzione di due sostanze: l'una è metallica, l'altra minerale; l'una è secca e ignea, l'altra è fredda e umida. Ora, queste due sostanze antagoniste, mediante l'azione intelligente del Fuoco, diretto dal Cento, indietreggiano e si decompongono. Dalla loro morte nasce una Rosa di bellissimo splendore la quale ha la virtù di unificare, armonizzandoli, i quattro elementi naturali. Quando avrai realizzato la Rosa e la Croce, l'Opera sarà compita e sarai un Rosa+Croce; ma allora, di certo, Dignità ti imporrà di vivere in incognito; direi, nell'invisibile.

23 novembre 2022

Non siamo nulla e siamo tutto.

 

NON SIAMO NULLA E SIAMO TUTO

(Tratto da: Alessandro Seidita e Joshua Wahlen, "Voci dal silenzio. Un viaggio tra gli eremiti d'Italia", ed. TEA, 2021)



Un bellissimo viaggio alla scoperta di alcuni eremiti d'Italia, da nord a sud, che vivono immersi nella natura, in piccoli eremi... nell'introduzione, Antonella Lumini (anch'essa mistica cristiana contemporanea), ci ricorda che esiste anche un altro tipo di eremita, ovvero l'eremita di città (colui che sceglie di restare immerso nel moderno).
In fondo, chiunque cerca sé stesso, chiunque rivolge la luce della coscienza alla ricerca interiore, è un eremita... un cammino silenzioso in sé stessi, non semplice, non impossibile. Vette e valli, deserti e oasi... fondamentale è continuare a camminare.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.



«È una scoperta che inizialmente può creare sconcerto», ci ha confessato l'unico eremita che ha preferito restare anonimo. «Prendere coscienza della nostra nullità. Sperimentare che non siamo riconducibili unicamente alla nostra storia di vita, ai nostri modelli culturali e sociali. C'è un "di più" da cui siamo istintivamente attratti, un desiderio profondo di volersi ricongiungere con questa grandezza, perché è da lì che veniamo. alcuni sentono questa nostalgia in maniera più forte, alcuni in maniera più debole- Altri, purtroppo, l'hanno proprio dimenticata.
«Quando si prende lentamente coscienza della nostra finitezza, del nostro essere nulla, se non veniamo paralizzati da quel primo turbamento, poi c'è solo meraviglia. Ma quella fase di terrore iniziale è anche indispensabile. Ti fa capire quanto siano insidiosi quei modelli che sono stati introdotti nella tua mente e su cui tu stesso, d'altronde, hai posto fiducia utilizzandoli come lenti attraverso cui affacciarti al mondo. Quando ti rendi conto che non sono nient'altro che filtri, rappresentazioni, delle ombre come diceva Platone, ecco che non sai più chi sei, perché sei qui, verso cosa sei diretto. Ti senti nudo, senza più certezza, senza risposta in cui trovare riparo nei confronti della realtà che adesso ti appare come qualcosa di enorme, pronta ad inghiottirti.
«Per me è stata un'esperienza angosciante. Perché, come fanno molti, ho pensato di ritornare indietro, di provare ad aggrapparmi nuovamente a quelle false certezze. Ma erano diventate inconsistenti, come fatte di argilla. Si sgretolavano tra le mani. E allora lì è stato molto doloroso. Penso di poter capire cosa può voler dire rischiare d'impazzire. Tuttavia, mettendomi faccia faccia con la paura, ho capito che non c'era niente che potesse essere effettivamente una minaccia per me, anzi. Da quel momento c'era solo da scoprire e da meravigliarsi, una seconda rinascita. Ritornare al mondo per una seconda volta e imparare a conoscerlo come un fanciullo. La scelta dell'eremitaggio è stata una conseguenza di questa scoperta. C'era così tanta bellezza adesso da poter gustare che non volevo più nessuna distrazione. Realmente! E più mi addentravo in questo cammino e più le maglie della mia identità sembravano dilatarsi, diventare un tutt'uno con l'infinito, con l'universo. Adesso la domanda: "Chi sei tu?" mi sembra qualcosa d'impossibile, una mano tesa pronta a tirarti dentro il tranello. Cosa posso mai rispondere? Chi siamo noi in fondo? Non siamo nulla e siamo tutto. La più grande occasione che abbiamo nella vita è affacciarci su questa scoperta. E fare esperienza di tutto ciò non con l'intelletto, ma con tutto il nostro essere».

17 novembre 2022

La mente amichevole

 

LA MENTE AMICHEVOLE

(Tratto da: Reb Anderson, "Il Sorriso della Montagna", ed. La Parola, 2008)


Questo breve estratto del Maestro Zen Reb Anderson, allievo di Shunryu Suzuki-roshi, è un invito ad accettare gli eventi che accadono senza alcun desiderio o avversione nei confronti di essi. L'essere amichevoli è mettersi da parte. Mettersi da parte è saper ascoltare. Saper ascoltare è accettare. Accettare è vivere pienamente. Vivere pienamente è essere radicati nel Centro. Si vacilla? Si. Ma così facendo, anche il vacillare è pratica, liberazione da essa stessa.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.



Se conosciamo l'origine della nostra vita e di tutte le cose, non avremo paura di niente, e apprezzeremo ogni cosa.
Come posso esserci quando la mia vita sorge? È un duro lavoro di base: nutrire, rivoltare, mischiare, concimare, spianare la terra del mio essere e osservarla con grande cura essendo retto e restando sveglio.
Praticando l'essere retti, a volte si può avere qualche difficoltà a restare svegli. Uno dei possibili modi per cercare di restare svegli, è arrabbiarsi per non essere svegli. In un caso simile, l'approccio nutriente consisterà nel cercare di sviluppare un sentimento di amicizia nei confronti della propria sonnolenza, e persino nei confronti della propria rabbia. Il provare rabbia per non essere concentrati da ulteriore agitazione. Mentre l'amicizia nei confronti di qualunque stato, dà calma. Da un lato, si può parlare di essere vigili e concentrati sulla propria esperienza corporea e mentale, dall'altro si può parlare semplicemente dell'essere amichevoli verso qualsiasi cosa accada. Essere amichevoli verso qualsiasi cosa accada è in realtà un altro modo di concentrarsi.
Questa mente amichevole, sveglia, stabile e docile non rappresenta semplicemente l'intuizione profonda della vera origine delle cose, ma è anche l'attuazione della piena vitalità di vita e morte. Il grande Maestro Zhaozhou ci ha sfidato a essere così.
Una volta un monaco chiese a Zhaozhou: "Qual è la differenza tra me e te?".
Zhaozhou disse: "Io uso le ventiquattro ore; tu sei usato dalle ventiquattro ore".
Zhaozhou ci sfida a praticare lo yoga dell'essere retti, svegli e amichevoli per tutte e ventiquattro le ore, a usare l'opportunità che ogni pensiero, ogni respiro ci offre. Questo è il modo di vivere senza inibire la nostra vitalità, e senza essere da essa trascinati.

13 novembre 2022

Dogen - Fukanzazengi (Parte Quarta)

   

FUKANZAZENGI

 - Regole universali per la pratica di zazen -

di Dogen




Ecco la quarta e ultima parte del "Fukanzazengi". Dogen ci sprona a praticare, dunque a non perdere tempo dietro vacue promesse "future" o attaccarci al passato; ci invita a non sprecare questa preziosa opportunità che è la vita al fine di realizzare la nostra vera natura.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.

(Tratto da: Aldo Tollini, "Pratica e illuminazione nello Shōbōgenzō", Astrolabio Ubaldini, 2009)


(Parte Quarta)

In generale, sia in questo mondo sia nell'altro mondo, sia in India sia in Cina, si possiede allo stesso modo il sigillo del Buddha, e pur mantenendo ognuno i propri princìpi religiosi, (dovunque) ci si applica soltanto al sedersi e ci si rende inamovibilmente inaccessibili (alle distrazioni). Sebbene si dica che ciascuno è diverso dall'altro, (tutti) praticano zazen e seguono la Via. Perché mai si dovrebbe lasciare il proprio posto di zazen e inutilmente vagare nel mondo delle contaminazioni di altri paesi? Se si sbaglia anche solo di un passo, si perde ciò che sta proprio di fronte.
Avete già ottenuto la funzionalità del corpo umano: non passate inutilmente il vostro tempo. Chi attenendosi all'essenza fondamentale della Via del Buddha, potrebbe trarre piacere alla leggera da (cose impermanenti come le) scintille? E non solo questo: la forma e la sostanza sono come la rugiada dell'erba e la vita umana somiglia alla folgore del tuono (che durano solo un attimo). In un istante perciò essi sono vuoti e in un altro istante sono perduti.

Vi prego, voi praticanti dello zen che seguite la Via, che a lungo avete imparato una imitazione delle realtà, non abbiate esitazione di fronte al vero drago (dell'illuminazione).
Applicandovi con determinazione alla Via che punta direttamente all'essenza della realtà, onorate le persone che sono complete nel sapere e si comportano secondo i princìpi del non-condizionamento.
Siate in accordo con la bodhi dei Buddha e trasmettete ai posteri il samādhi dei patriarchi. Con una azione di questo genere protratta a lungo, diventerete sicuramente così. (Allora), si aprirà da sé il tesoro (della saggezza) e si potrà riceverla e usarla secondo la propria volontà.

(Fine)

10 novembre 2022

Dogen - Fukanzazengi (Parte Terza)

  

FUKANZAZENGI

 - Regole universali per la pratica di zazen -

di Dogen




Ecco la terza parte del "Fukanzazengi". L'Illuminazione è qualcosa che accade, non servono espedienti precisi per realizzarla. L'Illuminazione, però, in realtà, non accade nemmeno, poichè è; ma per realizzarla abbiamo bisogno della pratica e dell'introspezione.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.

(Tratto da: Aldo Tollini, "Pratica e illuminazione nello Shōbōgenzō", Astrolabio Ubaldini, 2009)


(Parte Terza)

A ben guardare, superare l'ordinario e andare oltre il saggio, morire da seduti o morire in piedi, sono tutte cose che dipendono completamente da questa forza.
E inoltre, afferrare le opportunità date dalla sorte con dita, bastoni di bambù, aghi e martelli, o presentare la realizzazione dell'illuminazione (raggiunta) con (l'uso) dell'hossu, con pugni, bastoni o col grido katsu! non sono cose che si possono capire per mezzo del pensiero discriminante. Perché mai dovrebbero essere cose da potersi conoscere per mezzo della pratica e della realizzazione di poteri soprannaturali? Essi dovrebbero essere modi di agire che trascendono il visibile e l'udibile. Insomma, non sono forse pratiche consolidate che vengono prima di conoscenza e comprensione? Quindi, senza discriminare tra conoscenza superiore e stupidità inferiore, non si facciano scelte tra una persona brillante e una persona ottusa. Dedicarsi con tutto se stessi alla pratica è proprio seguire la Via. La pratica e la realizzazione di per sé non sono cose che contaminano e anche il loro scopo (l'andare verso l'illuminazione) è cosa del tutto normale.

(Continua...)

08 novembre 2022

Dogen - Fukanzazengi (Parte Seconda)

 

FUKANZAZENGI

 - Regole universali per la pratica di zazen -

di Dogen




Riprendiamo la lettura del "Fukanzazengi", con questo secondo estratto nel quale il Maestro Dogen ci raccomanda luogo, postura e disposizione interiore per la pratica dello zazen.
Buona lettura.
Buona Pratica.
R.

(Tratto da: Aldo Tollini, "Pratica e illuminazione nello Shōbōgenzō", Astrolabio Ubaldini, 2009)


(Parte Seconda)

Dunque, per fare zazen va bene una stanza tranquilla. Siate moderati nel bere e nel mangiare. Lasciate da parte tutti i legami. Lasciate che tutte le cose si acquietino (dentro di voi). Non pensate al bene e al male. Non fatevi prendere (dal dualismo) dell'"è così e non è così". Interrompete i rivolgimenti delle sensazioni, dell'intenzionalità e della coscienza. Smettete di dare valutazioni sul pensiero, le idee e le percezioni. Non abbiate intenzione di diventare un Buddha: perché mai allora attaccarsi caparbiamente allo zazen?
Nel luogo dove normalmente ci si siede, stendete un materassino e sopra di esso mettete un cuscino. Potete mettervi nella posizione del loto intero o nella posizione del mezzo loto. La posizione del loto consiste nel mettere innanzitutto il piede destro sulla coscia sinistra e il piede sinistro sulla coscia destra. La posizione del mezzo loto consiste nell'appoggiare soltanto il piede sinistro sulla coscia destra.
Indossate un vestito e una cintura che non stringa e sistemateli (appropriatamente). Poi, ponete (il dorso della) mano destra sopra il piede sinistro e il palmo della mano sinistra nel palmo della mano destra. Premete i due pollici uno contro l'altro.
Quindi, raddrizzate il corpo e sedete eretti, non pendete né a sinistra né a destra, non piegate il corpo in avanti e neppure indietro. E' necessario che orecchie e spalle siano allineate, e anche naso e ombelico siano allineati. La lingua appoggi sul palato e le labbra e i denti stiano chiusi. Gli occhi devono sempre restare aperti. Il respiro nasale sia leggero. Dopo aver regolato la postura del corpo, esalate un respiro profondo e oscillate a sinistra e a destra. Sedete stabilmente e con determinazione. Fate pensiero il non-pensiero. Il non-pensiero! Come pensarlo? con il senza-pensiero. Questa è quindi la tecnica essenziale dello zazen. Lo zazen non consiste in una tecnica da imparare: è semplicemente il Dharma della pace; è la pratica e la realizzazione della bodhi finale. Realizzando questo kōan, non si è intrappolati nella rete. Se afferrate il significato di questo, sarà come il drago che trova l'acqua o assomigliare alla tigre che si affida alla montagna.
Dovete proprio sapere che il giusto Dharma si presenta da sé davanti ai vostri occhi e (allora) intorpidimento e agitazione vengono eliminati fin dall'inizio.
Quando vi alzate da seduti, muovete lentamente il corpo e alzatevi con calma. Non bisogna farlo in fretta e furia.

(Continua...)